Prosegue il nostro viaggio nell’Ucraina “pre-guerra”. Nel primo post abbiamo raccontato gli avvenimenti che vanno dall’inizio delle proteste a Kiev contro il mancato accordo di adesione all’Ue alla destituzione del presidente in carica Viktor Yanukovich. In questo post prenderemo invece in esame la fase successiva che va dalla nascita del governo provvisorio fino all’annessione della Crimea alla Russia dopo l’esito del referendum del 16 marzo 2014. Come nel precedente post, utilizzeremo come unica fonte l’archivio di La Repubblica, quotidiano che sicuramente non può essere accusato di simpatie filorusse.
Dopo le proteste di piazza Maidan, siamo di fronte ad un paese spaccato a metà come dimostra anche un sondaggio fatto pochi giorni prima della cacciata di Yanukovich. «Un sondaggio spacca la società ucraina in due come una mela: 47 per cento della popolazione si dichiara in favore dei ribelli di piazza Indipendenza, e con quelli che manifestano in molte province, in particolare quelle occidentali, e il 46 per cento si dice invece filorusso. Ma in caso di elezioni presidenziali (e l’accordo le prevede per la fine dell’anno) Viktor Yanukovich sarebbe confermato alla presidenza» (Kiev, nella piazza che non cede. Intesa con Yanukovich ma niente pace).
In questo contesto, si aprono i due fronti che a tutt’oggi si confrontano in Ucraina: quello regionale e quello internazionale.
Il primo mette di fronte, da un lato, le popolazioni dell’ovest, caratterizzate da una variegata maggioranza anti-russa composta sia da chi aspira al modello europeo sia da ultranazionalisti con simpatie naziste che vedono nell’Europa una sorta di testa di ponte per l’accesso nella NATO così come avvenuto in altri paesi limitrofi non certo famosi per il rispetto delle garanzie di libertà, pur essendo alleati privilegiati del così autodefinitosi mondo libero. Sul lato opposto vi sono invece le popolazione del sud-est ucraino storicamente più legate alla Madre Patria Russia.

Proprio da qui, ed in particolare dalla Crimea, partono le prime proteste di popolo contro il neo-governo nato dalle proteste di piazza. «L’Ucraina si sta infatti sgretolando. Le regioni orientali russofone non accettano la destituzione del presidente, Viktor Yanukovich, appena decretata dal Parlamento di Kiev; mentre le regioni occidentali più “europee” accolgono con sollievo la liberazione di Yiulia Tymoshenko, condannata a sette anni di carcere, e amnistiata dal Parlamento trasformatosi in una Convenzione rivoluzionaria» (Tra le rovine nelle strade di Kiev, l’Ucraina si sgretola nel sangue: incubo secessione). «Ucraina, sale la tensione in Crimea, dove politici filo russi stanno organizzando raduni e formando unità di protesta, chiedendo l’autonomia da Kiev. Intanto, nella capitale il Parlamento ha nominato Oleksandr Turchynov nuovo presidente ad interim del Paese, fino alle elezioni» (Ucraina, Crimea: politici filorussi organizzano proteste). «Il presidente Yanukovich è sparito da qualche parte nei pressi di Donetsk, nel cuore di quell’Ucraina russofila, che comincia a dare segnali di ribellione al «colpo di Stato contro un leader legittimamente eletto». Manifestazioni anti Europa, a Kharkiv, Sebastopoli, Odessa» (Il partito scarica Yanukovich: “è il responsabile delle proteste”). «I ventimila manifestanti di Sebastopoli contro l’insurrezione nazionalista di Kiev che hanno chiesto ieri la nomina di un sindaco russo, hanno rispolverato la vecchia rivendicazione secessionista della Crimea. Nella loro stragrande maggioranza gli abitanti di questo bel paese considerano in cuor loro con apprensione un’eventuale secessione. L’idea è nell’aria da tempo. Ad alimentarla sono le antiche divisioni storiche, culturali, linguistiche, che prevalgono nei momenti di passione politica, ma che quando la ragione prevale sono ridimensionate dal comune sentimento nazionale. In questi giorni di entusiasmi, di vendette e di incertezze, con le barricate ancora in piedi sulla Majdan, e con i gruppi radicali (super nazionalisti, ed estremisti di destra) rafforzati dal successo e in parte integrati nelle forze dell’ordine, la situazione resta tuttavia indecifrabile. Si ripete che la rivoluzione ucraina è avvenuta per via legislativa, perché il Parlamento ha approvato o si appresta ad approvare le sue rivendicazioni. Meglio precisare che il Parlamento si è piegato, ha ubbidito alla rivolta. Il nuovo procuratore generale, di nomina parlamentare, sta incriminando Viktor Yanukovich come appunto chiedono gli insorti della Majdan. I deputati hanno abolito una legge tesa a favorire l’insegnamento della lingua russa, che prevale nelle province orientali ma non in quelle occidentali. L’urgenza con cui è stata votata l’abrogazione rivela il desiderio di assecondare le frange nazionaliste più estremiste» (Lo scenario. L’Ucraina spezzata in due. Il “muro” di Russia ed Europa per fermare la balcanizzazione). «Preoccupa ancora la situazione nei territori ucraini più direttamente influenzati dalla Russia. Turchynov ha lanciato l’allarme sui “pericolosi segni di separatismo” emersi in alcune aree della repubblica ex sovietica dopo la destituzione del suo predecessore, il filo-russo Viktor Yanukovich. Il presidente ad interim ha annunciato alla Rada Suprema, il Parlamento che egli stesso presiede, di aver convocato i vertici delle forze di sicurezza per discutere della questione. Il timore è che nelle regioni orientali e meridionali dell’Ucraina, a maggioranza russofona, la caduta del vecchio regime alimenti tendenze secessionistiche. Il rischio è ora quello di una sorta di balcanizzazione del paese, che potrebbe portare alla creazione di quattro province separate con delicate conseguenze geopolitiche per tutta l’Europa» (Ucraina, appello di Barroso alla Russia. Lavrov: “niente interferenze”).

Ben presto le proteste si trasformano nell’occupazione dei palazzi del potere con l’aiuto di uomini armati provenienti dalla Russia che non incontrano quasi alcun tipo di resistenza. Si inizia a parlare di un referendum per decidere le sorti della Crimea e la Duma approva una legge per semplificare l’adesione di nuove nazioni alla Federazione russa. «Una donna in colbacco di pelo smanetta a lungo su un vecchio binocolo da teatro e lo punta sulla tolda del maestoso incrociatore lanciamissili “Moskva”, ammiraglia della Flotta russa nel Mar Nero. Poi riferisce a tutti la buona notizia: «Si stanno muovendo, vedo spostamenti di munizioni, truppe d’assalto sul ponte. Ci libereranno dai fascisti». Si illude, sta sognando, ma ci sono già diecimila persone a sognare con lei. Alcuni indossano divise e innalzano gloriosi stendardi della Armata Rossa evocando una seconda guerra di liberazione contro gli ucraini dell’Ovest a cui non hanno mai perdonato la collaborazione massiccia con le truppe naziste dopo l’invasione del ‘41. Ed è una festa quando arriva, rumoroso e spettacolare, un autoblindo dell’esercito russo che attraversa tutto il viale Lenin e si piazza davanti al centro culturale “Casa Mosca”. «Misura precauzionale», dice lo stato maggiore di Mosca, ma la piazza ci vede l’avanguardia dell’atteso arrivo dei nostri. Lunedì, su questa stessa piazza una sorta di assemblea popolare ha costretto alle dimissioni il sindaco e ha eletto un popolare uomo d’affari locale Aleksej Cjalyj, 53 anni, cittadino russo. Basterebbe il suo passaporto a rendere illegittima questa scelta. Ma Cjalyj si comporta come un sindaco vero. Ma è tutta la Crimea che freme. A Kerch, che Stalin onorò del titolo di città eroica dell’Unione Sovietica, la bandiera ucraina è stata ammainata dopo minacciose manifestazioni di piazza da tutte gli edifici pubblici. A Simferopoli dove il governatore si dice fedele al governo di Kiev “quale che sia”, i ragazzi di Ruskij Blok e del Partito comunista hanno circondato la grande statua di Lenin nel cuore del centro storico. Non sono armati ma hanno l’aria decisa: «Nessuno la butterà giù». Ma è davvero possibile una secessione della Crimea? Nei contatti segreti che in queste ore si svolgono freneticamente tra oligarchi dell’Est e dell’Ovest del Paese si dice che una divisione traumatica dell’Ucraina procurerebbe una catastrofe economica per tutti. Ma molti finiscono per ammettere: «La Crimea, al limite, potrebbe anche essere sacrificata». Fu Nikita Krusciov, ucraino di nascita, famoso per le sue nuotate nel mare di Crimea con l’aiuto di una gigantesca camera d’aria per camion a fare da salvagente, a sconvolgere le cose decidendo nel ‘54 di spostare la Crimea dalla giurisdizione della Federazione russa a quella di Ucraina. Decisione amministrativa impalpabile quando sia Ucraina che Russia facevano parte dello stesso blocco sovietico. Fu nel ‘91, dopo la fine dell’Urss e l’indipendenza delle 15 repubbliche che la componevano, che i russi realizzarono con dispiacere profondo che da quel momento in poi le loro vacanze in Crimea sarebbero state vacanze all’estero» (Tra i ribelli della roccaforte filo-russa. “Siamo pronti a riprenderci l’Ucraina”). «Cresce la tensione nell’Ucraina orientale. Dopo le manifestazioni filorusse dei giorni scorsi, oggi un gruppo di uomini armati e in tuta mimetica ha assalito i palazzi del parlamento e del governo locali a Sinferopoli, capitale della Crimea, mentre centinaia di cittadini erigevano barricate davanti ai due edifici. Alcune decine di persone armate hanno fatto irruzione sparando contro i vetri dell’ingresso. Poi hanno tolto dal pennone la bandiera ucraina e hanno issato il tricolore russo, che sventola insieme a quella della repubblica di Crimea. La polizia non è intervenuta e nessuno è rimasto ferito nell’irruzione. Il Parlamento è stato poi liberato e si è riunito in una sessione straordinaria in cui l’organo ha deciso di “licenziare” il governo della Crimea e ha fissato, in contemporanea con le elezioni presidenziali del 25 maggio, un referendum per avere ancora maggiore autonomia da Kiev» (Ucraina, filorussi occupano parlamento in Crimea. Gli eroi di Maidan diventano ministri). «Anche nelle piazze intanto i filorussi alzano il tiro. A Donetsk, nel sudest dell’Ucraina, feudo dell’ex presidente Viktor Yanukovich, sono scese in piazza 10.000 persone sventolando bandiere russe, mentre a Kharkiv, sempre nelle regioni orientali, insorti filorussi hanno occupato il palazzo dell’amministrazione regionale e decine di persone sono rimaste ferite nell’assalto. Crimea, referendum anticipato. Un’accelerazione si registra anche sul fronte del futuro status della Crimea. Il nuovo governo di Simferopoli, che il premier ucraino Iatseniuk ha oggi definito “illegittimo”, ha deciso di anticipare il referendum per una maggiore autonomia della regione al 30 marzo dal 25 maggio inizialmente previsto, mentre nei prossimi giorni il parlamento russo esaminerà una proposta di legge che facilita l’assorbimento di nuovi territori senza bisogno della firma di un trattato internazionale. Sarà appunto sufficiente organizzare un referendum» (Ucraina: monito di Obama contro l’intervento russo in Crimea. Putin: “difenderemo i nostri interessi”. Onu invita alla calma). «L’invasione è in atto, in realtà, da almeno tre giorni in Crimea, dove la maggioranza della popolazione è filorussa ed è soddisfatta di essere presa sul serio. Un intervento più massiccio e dall’esterno potrebbe essere un rischio, perché il governo Ucraino ha un esercito non da poco che, ovviamente, risponderebbe al fuoco. I finanziamenti e il sostegno Usa e europeo ha di fatto portato al potere anche movimenti fascisti e antisemiti pericolosi e impresentabili. Questo da uno ‘straccio’ di ragione a Putin» (Ucraina, Lombardozzi: “Qui la folla invoca l’intervento russo”). «Ma la loro origine e il significato dello loro presenza è comunque scoperto e palese. Tanto da scatenare l’entusiasmo dei diecimila che presidiano da tre giorni le piazze di Crimea inneggiando all’aiuto di Mosca. E dal Cremlino arrivano segnali che esaltano ancora di più la piazza. Parte l’accelerazione per la consegna dei passaporti russi a tutti gli ucraini locali che ne facciano richiesta. E soprattutto viene subito concessa la cittadinanza ai Berkut, le micidiali forze di polizia di Yanukovich, adesso sciolte per ignominia dal nuovo governo di Kiev. Mossa incauta, forse, perché adesso i poliziotti meglio addestrati del Paese potrebbero confluire in massa dalla parte dei “russi”. E il meglio, per la maggioranza russa di Crimea, potrebbe ancora venire. A Mosca infatti è cominciata, guarda caso proprio ieri, la discussione di una nuova legge che qui viene vista come la svolta tanto sognata. Prevede di semplificare le procedure per l’annessione da parte della Russia «di una regione straniera che si sia espressa in tal senso con un referendum». È complicato da spiegare per strada ma qualcuno comincia già a fare i suoi calcoli. Irina, biondissima studentessa avvolta nel tricolore russo, guarda incantata gli armati senza mostrine e riassume: «Un bel voto senza disordini, e ce ne torniamo a casa» (I soldati di Putin in Crimea. Kiev: “Fermate subito l’invasione”. Obama: “ci saranno conseguenze”). «Numerosi cittadini hanno manifestato davanti all’edificio del parlamento nella capitale Simferopoli, sventolando la bandiera russa e scandendo lo slogan “Lunga vita alla Russia”. Una bandiera russa è stata issata anche sul tetto dell’edificio. I dimostranti si sono dichiarati “volontari” e non spinti a manifestare su pressioni di Mosca» (Crimea: davanti al parlamento dimostranti con la bandiera russa). «L’inviato in Crimea, Nicola Lombardozzi, si trova nella zona che potrebbe diventare il fronte di guerra: “Le forze russe hanno preso il controllo dei punti strategici senza trovare alcuna resistenza. Perché la popolazione è filo-russa e anche l’esercito non risponde a Kiev”» (Ucraina, Lombardozzi: “In Crimea invasione russa di fatto completata”). «Sull’altra sponda non si vede nessuno. Le grida di guerra di quelli che qui sono, senza alcun dubbio, «i fascisti di Kiev», non sembrano avere grande effetto. Dell’esercito nazionale ucraino nemmeno l’ombra. E tutti si ride insieme della notizia che arriva da Sebastopoli. L’ammiraglio Denis Berizovskij, nominato sabato sera comandante della Marina Ucraina dal governo Jatsenjuk, già ieri giurava «fedeltà alla Crimea» alle prime minacciose pressioni dei vicini di casa della base navale russa. «Poveretti – è il commento trionfante di tutti – hanno paura di noi». E ci si lascia andare, con il linguaggio greve dei combattenti, sulle soldatesse della vicina base aerea di Dzhankoj che i soldati russi hanno occupato senza colpo ferire. In verità qualche isolata sacca di resistenza c’è. A Simferopoli le truppe russe circondano un edificio della guardia costiera ucraina che non vuole arrendersi. Stessa cosa sta accadendo sulla costa sud, dalle parti di Feodossja e di Peravolnoe dove i fanti di Marina non sanno più a chi obbedire in un clima frastornato e drammatico da 8 settembre italiano» (Il reportage tra i cosacchi in fila per i fucili. “La Crimea appartiene a noi russi”). «Eppure l’incubo di una divisione del paese viene preso sul serio a Kiev. Se in un angolo della coscienza i nuovi governanti stanno valutando come possibile l’ipotesi di perdere la Crimea, magari con il referendum vagheggiato dal Cremlino, quella di una frammentazione dell’Ucraina appare del tutto inaccettabile. L’Est va recuperato alla patria. E per evitare secessioni, la stessa Yiulia Tymoshenko avrebbe ideato una strategia formidabile e rischiosa: affidare le responsabilità politiche agli uomini forti dell’economia. L’Ucraina del-l’Est agli oligarchi, insomma, con buona pace delle istanze sociali della rivoluzione. Ma le prime reazioni sono poco incoraggianti: nel Donetsk, migliaia di persone sono scese in piazza contro Taruta, hanno occupato i palazzi governativi e cominciano a diffondersi le richieste di un referendum sull’indipendenza da Kiev» (Nella città della “Potemkin” che si affida agli oligarchi per evitare la secessione).

La volontà popolare, unita agli interessi strategici della Russia nell’area (la base navale di Sebastopoli è l’unico sbocco della flotta russa verso il Mediterraneo), determina un’accelerazione al corso degli eventi il cui esito scontato sarà il referendum del 16 marzo 2014 che sancisce la secessione della Crimea dall’Ucraina. «Il Parlamento della Crimea ha votato oggi in favore dell’adesione della regione alla Russia, come soggetto della Federazione Russa. Lo ha annunciato il primo vice premier locale Rustam Temirgaliev. Della risoluzione è stato subito informato Vladimir Putin. Temirgaliev aveva anche annunciato che il 16 marzo si terrà il referendum sullo status della Crimea, nel quale i cittadini dovranno scegliere se restare in Ucraina o aderire alla Russia» (Ucraina, prime sanzioni contro Mosca. Crimea spinge per l’annessione alla Russia). «Primo voto: tutti i cittadini della Crimea si esprimeranno il 16 marzo in un referendum su due quesiti per decidere se rimanere in Ucraina o se chiedere l’annessione alla Federazione Russa. Secondo voto, ancora più incalzante: con 78 voti su 81 il Parlamento si dichiara sin d’ora favorevole all’annessione alla Russia e all’utilizzo del rublo come moneta ufficiale.Una sequenza che confonde un po’ le idee ma non spegne l’entusiasmo. «Siamo già in Russia da oggi?», chiede un giovane con un colbacco fuori luogo con questo sole primaverile. «No, per rispettare le regole dobbiamo aspettare il referendum», risponde un anziano che mette in vista dal taschino della giacca il suo antico passaporto sovietico: «L’ho conservato dal 1991, non vedo l’ora di stracciare quello ucraino» (“Sì all’annessione alla Russia, sì al rublo”. Festa in Crimea per la sfida del Parlamento). «La Crimea si prepara così al referendum di domenica sullo status territoriale della regione, che fa parte dell’ucraina ma è a maggioranza russofona. Risultato annunciato è l’indipendenza da Kiev e la probabile associazione con la Federazione russa, e proprio per questo il voto è duramente osteggiato dagli occidentali. Questo non ferma le autorità locali in Crimea, che proseguono l’opera di “russificazione” della regione, in modo da creare uno status quo già al momento del referendum parallelo a quello dell’occupazione militare. L’amministrazione comunale di Sebastapoli, seconda città e porto dove è di stanza la flotta russa del Mar Nero, ha annunciato che tutti i documenti d’ora in poi saranno in lingua russa e non più in ucraino. E si profila un braccio di ferro tra le autoproclamate autorità della Crimea e le minoranze, in particolare i tatari – la comunità turcofona musulmana che ha annunciato il boicottaggio del referendum. Il vice premier della repubblica autonoma di Crimea ha detto di essere pronto a collaborare con gli osservatori internazionali per monitorare il voto, ma non con i “provocatori”. Nei giorni scorsi una trentina di osservatori militari dell’Osce sono stati più volte respinti al confine (Ucraina, la Crimea sempre più verso Mosca: a Sebastopoli il russo lingua ufficiale). «Migliaia di persone sono scese in piazza nelle strade della capitale della Crimea, Simferopoli, e a Sebastopoli, per festeggiare il ‘Sì’ all’annessione della penisola alla Russia. In serata il primo exit poll dava i voti favorevoli al 93% e qualche ora dopo a tre quarti dei seggi scrutinati erano al 95,7%. Pochi minuti dopo la diffusione del risultato, la Casa Bianca ha respinto il risultato del referendum sull’adesione alla Russia, che sancisce la secessione dall’Ucraina di Kiev. Washington ha detto che ora Mosca affronterà “costi crescenti” per l’intervento militare e la violazione del diritto internazionale. Il ‘premier’ filo-russo della Crimea, Serghei Aksyonov ha annunciato che già domani una delegazione del Parlamento di Sinferopoli sarà a Mosca nel pomeriggio per avviare le procedure di annessione. Nel corso della giornata hanno votato oltre 1,5 milioni di aventi diritto, in 1205 distretti elettorali, con 27 commissioni elettorali cittadine e distrettuali. A Sebastopoli lunghe file di persone erano ai seggi ore prima dell’apertura» (Ucraina, la Crimea sceglie la Russia. Usa e Ue: “Referendum illegale”). «Addirittura il 93 per cento ha votato per chiedere formalmente alla Russia l’annessione. Un risultato clamoroso che nessuno si sarebbe aspettato in queste dimensioni e che sta trasformando la festa ben organizzata in una festa spontanea» (Crimea, Lombardozzi: “Risultato clamoroso e dalle dimensioni inattese”). «La Crimea accelera i tempi verso l’annessione alla Russia, mentre la comunità occidentale cerca l’unità su risposte da dare a un referendum ritenuto dalla grande maggioranza illegittimo. Il referendum di ieri ha – come si aspettava, ma in misura ancor più schiacciante – avallato la scelta di indipendenza della penisola ucraina: 96,6% i ‘Sì’. Il Parlamento ha subito formalizzato la richiesta di adesione alla Federazione russa, annunciato la nazionalizzazione dei beni di Stato ucraini, lo smantellamento delle forze militari ucraine, il pagamento di stipendi e pensioni in rubli, e ribattezzato il Parlamento dall’ucraino Rada al russo Duma. In serata Putin ha firmato il decreto per il riconoscimento dell’indipendenza della Crimea: La Russia ”tenuto conto della volontà del popolo della Crimea espresso con un referendum del 16 marzo 2014” decide di ”riconoscere la Repubblica di Crimea come Stato sovrano e indipendente dove la città di Sebastopoli ha statuto speciale”, secondo il testo del decreto pubblicato dal Cremlino» (La Crimea chiede l’annessione alla Russia. Prime sanzioni da Ue e Usa). «Annessione, come da copione. Sfidando le sanzioni occidentali varate ieri da Bruxelles e Washington, il presidente russo Vladimir Putin ha firmato al Cremlino con i leader politici della Crimea l’accordo per l’ingresso della penisola nella Federazione Russa. Atto che è stato immediatamente respinto dalla comunità internazionale, con la Ue e la Nato che hanno dichiarato di non riconoscere la nuova entità. Il capo di Stato russo non si è fermato qui, pur non essendo legalmente tenuto a farlo, alle 15 ora di Mosca (le 12 in Italia), ha riferito di fronte ai membri della Duma e del Consiglio della Federazione riuniti in seduta congiunta, insieme agli 83 governatori della Russia: “La Crimea è stata e resta parte inalienabile” della Russia e la decisione di Nikita Krushev di cederla all’Ucraina “fu presa in violazione della costituzione” sovietica. “In Crimea ci saranno tre lingue statali di uguale diritto: russo, ucraino e tartaro di Crimea”, ha detto il presidente, affermando: “L’Occidente si è ricordato che c’è un diritto internazionale, bene. Meglio tardi che mai”. La platea, dove siedono tra gli altri il premier russo Dmitri Medvedev, quello di Crimea Serghei Aksenov e il presidente del parlamento Vladimir Konstatinov, è esplosa in un applauso. Il presidente ha ribadito che sotto la sovranità russa verranno rispettati i diritti di tutte le comunità locali, esprimendosi anche a favore della “riabilitazione” dei tatari di Crimea, vittime delle deportazioni di Stalin. Ma tutti i cittadini di Crimea diventeranno automaticamente russi, secondo l’accordo, a meno che entro un mese dall’entrata in vigore dello stesso non dichiarino la volontà contraria» (Crimea, firmata annessione alla Russia. Assalto a base della Marina di Kiev. Primo soldato ucraino ucciso). «Fuochi d’artificio nella capitale della Crimea, canti di gioia e bandiere tra le macerie rivoluzionarie della Majdan di Kiev. Due atti burocratici incrociati, scontati ma a loro modo storici, hanno decretato ieri la fine della prima fase di questa crisi internazionale. A Mosca, Vladimir Putin ha celebrato nella sala dedicata a Caterina la Grande la formalizzazione della annessione della Crimea da parte del Senato. A Bruxelles un emozionato premier ucraino Jatsenjuk ha firmato il patto di associazione alla Ue» (L’Europa abbraccia l’Ucraina. Storica firma a Bruxelles. “Ora un miliardo per ripartire”).
Il secondo fronte è quello internazionale. Appare evidente come la contraddizione principale che contraddistingue il periodo storico che stiamo vivendo sia la contrapposizione tra il mondo unipolare a guida statunitense e quello multipolare in cui vi sono una serie di paesi emergenti che non accettano più il dominio americano. Anche gli avvenimenti ucraini vanno ovviamente collocati all’interno di questo quadro geopolitico. Anzi, essi rappresentano ad oggi il punto di scontro più avanzato ed immediato in cui, per la prima volta dopo tanti anni, insieme alla guerra in Siria, l’utilizzo delle forza per difendere i propri interessi strategici non sembra essere un’esclusiva opzione del “mondo libero”. Questo conflitto si gioca non solo con le armi ma anche sul piano della diplomazia e della lotta economica. Vittima sacrificale appare fin da subito l’Europa, trascinata dal corso degli eventi su un atteggiamento via via sempre più coincidente con gli interessi americani.
Come si può notare, nelle prime fasi, i paesi europei, guidati dalla Germania, hanno un posizione più aperta al dialogo. «Poco dopo, le fonti governative tedesche hanno annunciato in contemporanea con quelle russe la telefonata Merkel-Putin. Ecco il resoconto che ne fornisce Berlino: “Le due parti sono d’accordo sul fatto che l’Ucraina deve dotarsi rapidamente di un governo capace di agire, e che l’integrità territoriale del paese deve essere rispettata”. La Cancelliera dunque scommette tutto sia sul nuovo potere a Kiev, sia sul tentativo di coinvolgere a ogni costo la Russia nella gestione comune della crisi per evitare che il dopo-Yanukovich si trasformi in un confronto ancora più aspro tra Occidente e Cremlino» (Ucraina, La Tymoshenko incontrerà la Merkel). «”Quanto sta facendo la Russia di Putin è in violazione della carta delle Nazioni Unite, e minaccia la pace e la sicurezza in Europa”. Così’ il segretario generale della Nato Rasmussen prima della riunione d’urgenza convocata per oggi a Bruxelles: “Putin deve fermare le sue attività militari e le sue minacce all’Ucraina”» (Ucraina, la Nato: “Putin minaccia la pace e la sicurezza in Europa). «Il segretario di stato americano: “La Russia sta commettendo un errore enorme. Se Putin non torna indietro rischia di non esserci il G8 a Sochi e la Russia rischia di non fare più parte del G8″» (Ucraina, Kerry: “La Russia rischia il posto nel G8”). «E per questo per il momento il governo Renzi si tiene in equilibrio fra Mosca e Kiev, invitando Mosca “a evitare azioni che comportino un ulteriore aggravamento della crisi e a perseguire con ogni mezzo la via del dialogo”. E contemporaneamente nel suo comunicato Palazzo Chigi “esorta le autorità di Kiev a promuovere ogni sforzo volto alla stabilità e alla pacificazione del Paese nel rispetto della legalità e della tutela delle minoranze”, dove per minoranze si intendono gli ucraini russofoni che Mosca dice di aver voluto difendere con il suo intervento militare» (L’Italia in equilibrio fra Mosca e Kiev. Renzi: “violazione sovranità inaccettabile, ma Ucraina rispetti minoranze). «Il fronte occidentale della fermezza, guidato dagli Usa, accusa un significativo smarcamento: la Germania non condivide l’idea di espellere la Russia dal G8. Come spiega il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier: “C’è chi vorrebbe mandare un segnale forte a Mosca, c’è invece chi, e io sono tra questi, considera il G8 l’unico formato in cui l’Occidente può parlare direttamente con la Russia, dovremmo sacrificarlo?”. Il ministro Steinmeier anticipa la proposta tedesca, che di lì a poco la cancelliera Angela Merkel avrebbe fatto a Putin: chiedere all’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) di promuovere un “gruppo di contatto”. Anche il governo italiano “si associa alle pressanti richieste della comunità internazionale affinché sia rispettata la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”» (Ucraina, 15mila soldati russi in Crimea. Kiev: “Sull’orlo del disastro”. Merkel a Putin: “Hai violato trattati internazionali”). «”L’Italia ha assunto sulla crisi ucraina una posizione attenta a tutti gli aspetti e i rischi della situazione e ha trovato importanti convergenze a livello europeo, in particolare con la posizione tedesca.” Queste le parole di Giorgio Napolitano parlando della situazione ucraina» (Ucraina, Napolitano: “Importanti convergenze con la posizione tedesca”). «”La parola d’ordine comune emersa nel Consiglio esteri è stata: de-escalation”. Lo dice il ministro Federica Mogherini, spiegando che si è deciso di “usare, in queste ore cruciali, tutti gli strumenti diplomatici e politici per abbassare i toni e tenere impegnata la Russia a non compiere ulteriori passi ed anzi tornare indietro su quelli che ha già fatto”. Il ministro degli esteri ha aggiunto che l’Italia ha deciso insieme ad altri sei Paesi del G8 di sospendere la partecipazione alle riunioni preparatorie del G8» (Ucraina, Mogherini: “Evitare scenari da guerra fredda con Mosca”). «”I nostri partner non avranno altra scelta che unirsi a noi nell’incrementare le misure prese nei giorni scorsi per isolare la Russia politicamente, diplomaticamente economicamente”, ha spiegato. La Russia sta “ignorando la realtà”, cioè che il Parlamento ucraino ha approvato a gran maggioranza i membri di un nuovo governo, ha continuato Kerry, durante una conferenza stampa a Kiev» (Ucraina, Putin: “A Kiev golpe armato”. John Kerry: “Russia cerca un pretesto per invadere”). «In un copione sempre più simile alla guerra fredda, l’America prepara sanzioni contro la Russia, cominciando da misure economiche che colpiscano direttamente la cerchia di Vladimir Putin. E sempre rispettando un copione già visto, l’Europa si defila, provocando irritazione a Washington. Senza gli europei, ammette la Casa Bianca, il danno economico delle sanzioni è inadeguato. Perfino la convocazione imminente di un G7 senza la Russia, annunciata dal Canada, viene accompagnata da voci secondo cui la Germania non è affatto d’accordo per abolire il G8 e relegare Mosca nell’isolamento di vent’anni fa» (Visti congelati e conti bloccati. Obama prepara le sanzioni. Usa ed Europa si dividono). «Sul fronte diplomatico, è da registrare anche la posizione della Nato, che ha annunciato, attraverso il segretario Rasmussen, la decisione di allentare la cooperazione con la Russia e di aprire canali di cooperazione ufficiali con la nuova leadership politica e militare di Kiev. Una scelta che non è piaciuta a Mosca, che ha detto che la Nato “viola gli accordi con la Russia”» (Ucraina, Russia-Usa-Ue vanno avanti su negoziati. Ma Lavrov snobba Kiev).

La pressione statunitense sembra invece avere effetto dopo la decisione di tenere il referendum sullo status della Crimea. È da quel momento che la posizione europea va via via appiattendosi su quella oltranzista di Washington e dei Paesi baltici. «Così, dopo una rapida consultazione con Washington, americani ed europei, per una volta d’accordo, hanno deciso di alzare il livello dello scontro. «La decisione del Parlamento di Crimea di chiedere l’annessione alla Russia con un referendum è illegittima e viola la Costituzione ucraina» hanno detto, esattamente con le stesse parole, il presidente Obama, la cancelliera Merkel e il presidente del Consiglio europeo Van Rompuy. Il messaggio è chiaro ed è stato mandato durante un incontro che i leader europei hanno avuto con il premier ucraino: la Crimea è e resterà parte dell’Ucraina. «È finita l’epoca in cui le frontiere potevano essere ridisegnate a dispetto dei dirigenti democraticamente eletti», ha detto il presidente americano. A conferma della nuova determinazione degli europei, ieri il vertice ha deciso non solo di confermare il pacchetto di aiuti per undici miliardi al governo di Kiev proposto dalla Commissione, ma anche di accelerare i tempi per la firma dell’accordo di associazione tra Ue e Ucraina, la cui cancellazione da parte di Yanukovich, tre mesi fa, aveva innescato le proteste di Majdan. L’accordo, almeno per la sua parte politica, sarà firmato «in tempi brevi». Prima comunque delle elezioni politiche in Ucraina, previste per il 25 maggio» (“Ucraina indivisibile, reagiremo”. L’Europa con gli Usa sulla linea dura). «Ma poche ore dopo il Cremlino dà la sua versione, che non è la stessa. Vladimir Putin ha denunciato, parlando con Barack Obama, un colpo anticostituzionale a Kiev e ha sottolineato che la Russia non può ignorare, nel rispetto delle leggi internazionali, gli appelli provenienti dalle province sud-orientali dell’Ucraina sottoposte a “decisioni illegittime”. Le relazioni russo-americane, ha proseguito Putin, sono tuttavia troppo importanti per la sicurezza globale e non possono quindi essere sacrificate per rincorrere problemi internazionali particolari, anche se di rilievo. Dalle note dissonanti, diffuse dalla Casa Bianca e dal Cremlino, appare evidente che Obama e Putin hanno ribadito per più di un’ora le loro posizioni senza portare elementi distensivi alla crisi» (Lo scontro. Kiev sotto la minaccia di Gazprom: “Pagate i debiti o vi tagliamo il gas”). «Il ministro degli esteri russo: “Vogliono rappresentarci come il lato conflittuale della vicenda, non lo siamo. I partner internazionali ci avevano promesso che se Yanukovich avesse rispettato i suoi obblighi avrebbero condotto l’altra parte, i nazionalisti radicali, a ragionare. Yanukovich ha mantenuto quanto aveva promesso, i nostri partner non lo hanno fatto”» (Ucraina, Lavrov: “Comunità internazionale non ha mantenuto promesse”). «I primi a lanciare l’idea sono stati i repubblicani Usa – dal presidente della Camera a Condoleezza Rice – forse perché notoriamente legati alla lobby petrolifera. Ma ora Barack Obama ci pensa sul serio. E dalla Casa Bianca la proposta rimbalza in Europa. Si tratta di concordare una strategia comune per togliere a Vladimir Putin la sua arma principale nella crisi Ucraina: il ricatto energetico. Ma per spezzare durevolmente il potere di ricatto di Mosca, l’America dovrebbe accelerare progetti controversi: il via libera all’export del suo gas e la conseguente costruzione di infrastrutture adeguate (impianti di liquefazione, terminal portuali). Finora le esportazioni Usa sono un rigagnolo: 56.000 barili al giorno di petrolio, per esempio, rappresentano meno dell’1% del greggio che viene estratto ogni giorno grazie ai nuovi giacimenti. Il via libera alle vendite di gas americano farebbe precipitare i prezzi mondiali, infliggendo un danno pesante a Putin: il gas è la fonte del 52% del bilancio federale di Mosca. Ma è qui in America che le resistenze continuano ad essere forti. Da una parte gli ambientalisti, contrari perché un boom di vendite di gas prolungherebbe la dipendenza mondiale da fonti di energia carboniche. Altrettanto potente è una lobby industriale, capeggiata da Dow Chemicals, che vuole l’autarchia perché il basso costo energetico rende più competitivo il made in Usa in diversi settori, chimica in testa. Tra le altre soluzioni per ridurre il potere di ricatto della Russia, vengono citati diversi progetti di gasdotti che potrebbero subire un’accelerazione: dalla Turchia, da Israele, dal Mar Caspio. Gli esperti avvertono, però: nessuno di questi progetti, incluso l’export di gas americano, ha tempi di realizzazione brevissimi» (Vendere il gas americano all’Europa. L’idea di Obama contro il ricatto di Mosca). «Ma ieri Tusk ha duramente accusato la Germania per la sua alta dipendenza energetica dalle forniture di gas e petrolio russo. Tale realtà, egli ha detto, costituisce oggettivamente una minaccia e un colpo alla sovranità dell’intera Unione europea, trattandosi di una dipendenza della prima economia del continente. Nelle stesse ore, sullo sfondo del crescente allarme delle giovani democrazie centroeuropee e balcaniche (gli ex satelliti di Mosca) per la politica di Putin, sono cominciate le manovre militari Nato in Polonia, Romania, Bulgaria e nei paesi baltici. Programmate da tempo, sono comunque un chiaro segnale di rassicurazione ai membri orientali dell’Alleanza e di avvertimento al Cremlino. “Sentitevi sicuri, Nato e Ue sono al vostro fianco”, ha detto il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, in visita nelle tre repubbliche baltiche. Alle manovre partecipano uno squadrone (12 aerei) di F-16 dell’Usaf arrivati nella base polacca di Lask, sei F-15 sempre americani schierati a Siauliai in Lituania, e jet F-16/blocco 52 polacchi, i più anziani aerei romeni (MiG 29 ammodernati), e gli aerei radar Boeing E-3A Awacs della Nato, partiti dalla loro base di Geilenkirchen in Germania. In volo sul territorio polacco e romeno possono vedere a lunga distanza ogni movimento di truppe, nel caso anche in profondità nel suolo ucraino. E’ in azione anche un Awacs della Royal Air Force, che dispone di suoi contingenti nazionali di aerei-radar, aerei da trasporto strategico e satelliti da osservazione» (Polonia: Pronte sanzioni Ue a Mosca. Al via esercitazioni Nato nell’est Europa). «La prima è la più positiva: il presidente dell’Ucraina “rivoluzionaria” Turcinov non attaccherà la Crimea. Dice che lo fa per «non seguire il copione predisposto da Putin». Probabilmente ha invece realizzato che l’esercito ucraino non è in grado di “liberare” la penisola. Ma il messaggio che arriva su quest’angolo di strada consente un sospiro di sollievo: «Forse, non ci sarà la guerra». L’altra notizia è più difficile da interpretare, arriva con il linguaggio lontano della diplomazia e suona minacciosa. Angela Merkel che annuncia nuove sanzioni Ue da lunedì; il segretario di Stato Usa Kerry che domani vedrà a Londra il ministro russo Lavrov e vede una «situazione molto brutta se Mosca dovesse sbagliare mossa». Il G7 che mette in guardia Putin con un linguaggio durissimo mai usato prima, avvertendo che non riconoscerà il referendum della Crimea: «Non accetteremo l’annessione della penisola. In caso contrario sapremo reagire». E Obama che accoglie con tutti gli onori nello Studio Ovale il premier della rivoluzione, Yatsenjuk, sparando contro il collega del Cremlino: «No alla pistola puntata di Mosca ». Un quadro da guerra alle porte» (Crimea, il G7 avverte la Russia. “Niente annessione o agiremo”). «La situazione inaccettabile creata da Mosca, ha spiegato il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, renderanno le sanzioni inevitabili. Oggi i capi della diplomazia dei paesi Ue si riuniscono a Bruxelles per vararle. E intanto la Casa Bianca, respingendo il risultato scontato del referendum nella penisola, ha definito «pericolose e destabilizzanti» le azioni russe e invita tutta la comunità internazionale «a intraprendere passi concreti per imporre dei costi» e a «sostenere la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina ». In altre parole: Mosca dovrà pagare un prezzo alto» (L’ira di Merkel e Obama. “Mosca la pagherà cara”. Ue, oggi nuove sanzioni). «I leader del G7 hanno deciso di cancellare ufficialmente la riunione del G8 in programma in Russia a Sochi e sostituirla con un summit nel formato ristretto a giugno a Bruxelles. Appena giunto all’Aja, Obama ha dichiarato: “Usa e Ue sono uniti nel sostegno a Kiev”. Poi, a proposito di sanzioni, ha sottolineato: “Le azioni della Russia sono semplicemente inaccettabili, devono esserci delle conseguenze e se Mosca continua ad aggravare la situazione con una escalation, allora dobbiamo essere preparati a imporre un costo più alto”» (G7, ira su Mosca: possibili nuove sanzioni. Kiev ritira truppe dalla Crimea). «E se la Russia dovesse intimidire paesi membri della Nato «scatterebbe la protezione collettiva dell’articolo 5 del Trattato atlantico, agiremmo tutti insieme in loro difesa», ammonisce il presidente americano. Che però aggiunge subito: «La risposta militare è determinata dall’appartenenza alla Nato». Dunque gli alleati sarebbero tenuti a intervenire militarmente in difesa di Polonia, paesi baltici, Romania. Ma non vale per l’Ucraina, la Georgia, la Moldova. Per rinsaldare l’unità con gli alleati europei, Obama offre un ramoscello d’ulivo sul Datagate. Le rivelazioni di Edward Snowden sulla vasta attività di spionaggio della National Security Agency, incluse le intercettazioni sui telefonini di leader stranieri come Angela Merkel, avevano turbato i rapporti con governi e opinioni pubbliche europee. Ora l’attesa riforma della Nsa è in dirittura d’arrivo, Obama è pronto a concordarne i dettagli finali con il Congresso. E approfitta del suo tour europeo per precisare i contorni della riforma. «Voglio eliminare – spiega – la preoccupazione generata dal fatto che il governo stia immagazzinando una immensa quantità di dati e informazioni. In futuro saranno richieste specifiche autorizzazioni giudiziarie ogni volta che un individuo sarà messo sotto sorveglianza. E per la prima volta noi tratteremo la privacy degli stranieri nello stesso modo in cui siamo tenuti a farlo per legge verso i cittadini americani» (Obama: “Mosca faccia marcia indietro. Usa pronti a intervenire per i paesi Nato). «Soprattutto, gli Usa si impegnano a “rendere più facile” l’export del proprio gas naturale verso l’Europa in base all’applicazione di un accordo di libero scambio Usa-Ue. Obama, poi, si è detto preoccupato “per la riduzione della spesa per la difesa di alcuni Stati. L’Ucraina ci ricorda che la libertà non è gratis, dobbiamo pagare per avere una forza Nato credibile e deterrente”, ha concluso» (Usa-Ue, patto per l’energia. Obama: “Faciliteremo export nostro gas”. “Russia capirà che la forza bruta non può vincere”). «L’America non esiterà mai a difendere i suoi alleati» e denuncia la «forza bruta con cui la Russia vuole intimidire i suoi vicini». Barack Obama incontra i vertici Ue e Nato a Bruxelles, mette la crisi ucraina al centro della sua prima visita nella capitale europea. La sua difesa dell’Alleanza atlantica è appassionata: «È la pietra angolare del nostro impegno internazionale, il mondo è più sicuro e più giusto quando gli Stati Uniti e l’Unione europea si mobilitano insieme», dice alla conferenza stampa col presidente Ue Van Rompuy e il presidente della Commissione Barroso. Obama ammonisce gli alleati a non sottovalutare il senso delle azioni di Vladimir Putin: «Il comportamento della Russia non riguarda un solo paese, ma l’Europa intera». Ma la libertà «non è gratis», i valori comuni dell’asse atlantico vanno difesi con comportamenti coerenti, anche quando costano sacrifici. «Se abbiamo un sistema di difesa collettivo – avverte Obama – ciascuno deve avere un “chip”, una carta sul tavolo. Ho seri dubbi che i tagli negli impegni di alcuni nostri alleati assicurino una forza credibile alla Nato. Ciascuno deve farsi carico della propria parte. È così che si costruisce la fiducia per le nazioni al confine con la Russia». «L’Europa – dice Obama – deve guardare alle proprie risorse. Ogni possibile fonte di energia ha i suoi svantaggi. L’America come nuova fonte di approvvigionamento è una possibilità, ma noi stessi abbiamo dovuto fare delle scelte difficili. L’Europa deve affrontare una conversazione seria al suo interno, sul futuro energetico» (Obama striglia la Ue. “basta tagli alla Difesa, cercate fonti d’energia). «La Bundesweher e la Luftwaffe nei paesi dell’Europa orientale: non forze d’invasione come ai tempi di Adolf Hitler, ma garanti della loro difesa contro la Russia. È una risposta all’annessione della Crimea da parte di Vladimir Putin. Lo ha annunciato il ministro tedesco della Difesa, Ursula von der Leyden, proprio mentre il segretario di Stato Usa John Kerry incontrava il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov a Parigi per il negoziato sulla “federalizzazione” dell’Ucraina. Per la prima volta dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Germania invia delle forze armate, soprattutto aeree, in quei paesi della Nato che si sentono minacciati dal nuovo espansionismo russo. È un segno dell’intesa tra Barack Obama e Angela Merkel, che regge nonostante le resistenze all’interno della Germania contro la “linea dura” verso Putin» (Maratona Kerry-Lavrov per l’intesa sull’Ucraina. Caccia tedeschi nell’Est). «La Nato sospende «ogni cooperazione pratica, civile e militare, con la Russia». E dà mandato al comando militare di fare piani per rinforzare la “difesa” nei paesi baltici ed est-europei. In pratica, verranno dispiegati mezzi aerei, navali e di terra, per aumentare il livello di prontezza della risposta contro un eventuale attacco. Così come l’annuncio dei ministri degli Esteri dell’Alleanza di «intensificare la cooperazione e promuovere le riforme in materia di difesa in Ucraina, attraverso la creazione di capacità militari e programmi di sviluppo di Kiev».Poco prima, la Rada, infatti, il parlamento ucraino, aveva approvato una legge per lo svolgimento di esercitazioni militari con i Paesi Nato» (Putin, guerra del gas contro l’Ucraina). «La Russia faccia un passo indietro, faccio appello a Mosca: gli eventi in Ucraina destano grande preoccupazione». E ancora: «La crisi in Ucraina mostra che la sicurezza non è un fatto scontato, i paesi dell’Alleanza atlantica hanno disarmato troppo e troppo a lungo, ora devono investire nuovamente nella difesa e rafforzare le loro capacità di pronto intervento». Ecco il durissimo monito che il segretario generale uscente della Nato, il danese Anders Fogh Rasmussen, ha lanciato al Cremlino e ai membri dell’alleanza militare del mondo libero, in un discorso a Parigi. A questo fine, ha spiegato, «bisogna migliorare la prontezza d’azione della Nato, con un rafforzamento dell’addestramento congiunto e un riesame del dislocamento delle forze». Riesame che vuol dire rinunciare all’impegno informale mai scritto, ma dato a Mosca dopo l’89, di non avere grandi basi Nato nei nuovi paesi membri, dalla Polonia ai Paesi baltici» (La Nato contro Mosca. “Sta sbagliando tutto, faccia un passo indietro”).

La questione su cui si dibatte riguarda la legittimità della scelta fatta dalla maggioranza degli abitanti della Crimea attraverso il referendum. Ci si chiede se si sia trattato di un processo di autodeterminazione di un popolo oppure di un’annessione avvenuta con la forza. Le risposte non sembrano univoche, visti anche alcuni precedenti di forzature, se non vere e proprie violazioni del diritto internazionale ad opera dell’Occidente. «Anche osservatori di destra danno atto che Washington non può fare molto. Così Josh Rogin del Daily Beast: «L’impotenza dell’America non è tutta colpa di Obama. L’Ucraina è vicina alla Russia con cui ha legami storici. E Mosca ha ragione almeno su un punto: il presidente filo-russo Yanukovich fu eletto democraticamente, mentre a cacciarlo sono stati dei moti di piazza. Obama deve stare attento a non agitare minacce a vuoto, rischierebbe un bis della Siria quando minacciò l’intervento armato contro Assad per l’uso di armi chimiche, poi dovette far marcia indietro». (Il Cremlino gela Obama: “Tuteliamo i nostri interessi”). «La Russia di Putin risponde alle minacce di Obama ritorcendo l’avvertimento della “linea rossa” usato dall’americano in Siria. La Crimea, nell’ambito dell’Ucraina, ha uno status giuridico di regione autonoma e una situazione etnica con maggioranza russa esattamente come il Kosovo aveva status di provincia autonoma e maggioranza albanese nei confronti della Serbia. Eppure l’Onu, i capi di Stato europei e soprattutto gli americani hanno sottratto con la forza il territorio alla sovranità serba sulla base di una dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Ora i russi di Crimea indicono un referendum e Putin manda soldati e forze speciali sotto copertura per acquisire obiettivi e preparare il conflitto. La Russia ha in Crimea basi militari, popolazione e interessi strategici analoghi, se non superiori, a quelli vantati dagli americani e dai loro alleati prima di tutte le guerre scatenate dal 1802 e delle operazioni internazionali degli ultimi vent’anni. Il Diritto internazionale, culminato con la Carta delle Nazioni Unite, è stato violentato e piegato alle logiche di aggressione cambiando la semantica, ma utilizzando la stessa grammatica della guerra. Se non si ripristina un minimo di serietà nei rapporti internazionali, nessuno può stupirsi o accusare gli altri e tutti devono solo aspettarsi guerre e tempeste» (Il diritto internazionale e la grammatica di guerra). «C’è poco da fare la morale. Né l’America né gli europei complici hanno l’anima immacolata per quanto riguarda le aggressioni internazionali. La Russia di Putin non fa eccezione. Limitandosi ai fatti recenti, Bush jr e Tony Blair in Iraq sono ben vivi nelle nostre memorie. Il teatro è adesso l’Europa. È da noi che è in corso la più grave crisi dalla fine del secolo breve, quello conclusosi nel 1989, con la caduta del Muro e l’implosione dell’Urss. E non sappiamo come affrontarla» (Ucraina, la minaccia di Putin: “Mi riservo il diritto di usare la forza). «I liberali sono bravi a enunciare principi universali a favore della pari sovranità e l’autodeterminazione dei singoli individui. Entrano totalmente in crisi quando si tratta di popoli. Perché i kosovari dovrebbero aver diritto all’autodeterminazione e i curdi no? Perché se vale per la Scozia non vale per la Catalogna? E se vale per la Catalogna perché non per la Padania? Con l’indebolirsi degli imperi e degli stati multinazionali sale il grido “perché noi dobbiamo essere una minoranza nel vostro Stato quando voi potreste essere una minoranza nel nostro?” (mutuo la geniale formulazione dell’economista macedone Vladimir Gligorov). Oppure, come ha detto recentemente a titolo di provocazione il nazionalista russo Vladimir Zhirinovsky, se l’Ucraina può fare la sua rivoluzione perché la Crimea no? Come i lettori ormai hanno appreso dai giornali la Crimea venne donata alla Repubblica Socialista Sovietica Ucraina per ordine di Nikita Krusciov 60 anni fa, nel febbraio 1954, in occasione del tricentenario del trattato di Perejaslav, che i propagandisti sovietici reinterpretarono come segno della “riunificazione dell’Ucraina con la Russia”. Nikolai Podgorny, comunista dell’Ucraina sovietica, definì la decisione di Krusciov come “ulteriore affermazione del grande amore fraterno e della fiducia nutriti dal popolo russo per l’Ucraina”. Oh, oh. Anche se Krusciov non fosse stato sbronzo quando decise, come talvolta viene malignamente insinuato, certo nella sua scelta non ci fu nulla di inevitabile né di “naturale” sotto il profilo storico, o , se è per questo, di “innaturale”. Se non fosse accaduto, la Crimea oggi farebbe parte della Federazione Russa con un’ampia maggioranza di Tartari e Ucraini di Crimea che si lamenterebbero all’insegna del “perché noi dobbiamo essere una minoranza nel vostro paese quando voi potreste essere una minoranza nel nostro”. Ma è accaduto, e la rabbia sale alla rovescia» (Le macerie degli imperi). «I paesi-cerniera, a cavallo tra due aree geopolitiche in competizione economica, politica e culturale, dovrebbero essere accettati come sono, senza spingerli a scelte di campo laceranti. L’Ucraina è molto più di un paese-cerniera, avendo un piede ad est e l’altro ad ovest, con una parte della popolazione schierata in questa duplice e contrapposta tensione. Un’attiva neutralità, più netta di quella finlandese, che è spesso richiamata ma che risponde ad un diverso contesto, converrebbe certamente all’Ucraina, ma anche a tutti i paesi confinanti. Un’Ucraina non membro dell’Ue, né dell’Unione eurasiatica disegnata da Putin, ma con una neutralità attiva riconosciuta, aperta a rapporti politici, economici, culturali e ad accordi di ampio partenariato e di parziale associazione con entrambe le entità, potrebbe garantire la propria unità territoriale, la convivenza delle diverse nazionalità, il proprio sviluppo economico, insieme a quello culturale radicato nella storia e nei legami con aree sia russe che europee. Un’Ucraina neutrale e aperta a cooperazioni a trecentosessanta gradi potrebbe al contempo rappresentare un punto magnetizzante tra l’Ue/l’Occidente e la Russia e potrebbe rafforzarne il rapporto politico e la fiducia reciproca. Il mondo globalizzato ci obbliga ad andare nella direzione di un rapporto rinnovato, con una visione nuova delle relazioni internazionali – in una certa misura ancora di potenza, ma basate sulla massima cooperazione – presupposto per ulteriori sviluppi economici e soprattutto per assicurare condizioni di pace in tutto il continente euro asiatico» (Neutralità attiva tra Est e Ovest: per l’Ucraina soluzioni politiche innovative). «”Quando Washington cita l’inviolabilità della legge internazionale, conta sulla breve memoria del resto del mondo. Sostiene la legge internazionale quando conviene. Se no la trascura, vedi l’invasione dell’Iraq fra l’altro. Così si comportano le grandi potenze. Lo stesso governo ucraino dovrà guadagnarsi legittimità: i russi non hanno torto nel dire che il governo precedente è stato rimosso da un golpe de facto. Quanto all’escalation, è presto per dirlo. Certo, ci aspetta un periodo di gelo. Non un ritorno alla Guerra Fredda”» (Andrew Bacevich: “Mosca non tornerà indietro, in quell’area ha troppi interessi”). «La crisi ucraina ha fornito al Cremlino l’appello patriottico che paga sempre – senza offesa per nessuno, basti rammentare Lady Thatcher e le Falkland – tanto che lo stesso Gorbaciov ha giustificato la condotta del Cremlino come la “correzione di un errore storico”. A parte il rapporto speciale con Kiev, la Russia non ha dimenticato le umiliazioni subite dopo la fine dell’Urss, l’immagine della sconfitta epocale apparsa al mondo intero e, non ultimo, l’impegno americano, non mantenuto, che le forze alleate non sarebbero entrate nell’area del defunto Patto di Varsavia» (La sfida di Putin). «Sulla crisi ucraina interviene l’ex cancelliere tedesco, padre storico della Spd, uno delle ultime “icone morali” del Paese. Ha trattato alla pari con i Grandi del mondo in piena Guerra Fredda, segnando come pochi la storia dell’Europa libera del Dopoguerra, e ancora in ogni sondaggio è il politico più popolare. In questa intervista, a sorpresa dice di non condividere le posizioni della Merkel e di Obama e spiega. “Fino ai primi anni Novanta l’Occidente non ha dubitato che Crimea e Ucraina fossero parte della Russia. Il comportamento del leader del Cremlino è comprensibile”. E sulle sanzioni, aggiunge: “Sono una stupidaggine che danneggerà i paesi europei e gli Usa”. «Il comportamento di Putin è comprensibile. La situazione è pericolosa perché il nervosismo dell’Occidente crea nervosismo anche in Russia. La maggior parte dei conflitti – pensate alla Prima Guerra Mondiale – non furono programmati». Ecco il monito dello storico ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt su quanto sta accadendo in Ucraina. Signor Schmidt, l’annessione della Crimea è una violazione del diritto internazionale? «Ho i miei dubbi. Il diritto internazionale è molto importante, ma è stato violato molte volte. Per esempio l’ingerenza nella guerra civile in Libia: l’Occidente ha ben ecceduto il mandato del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Lo sviluppo storico della Crimea è più importante del diritto internazionale. Fino ai primi anni Novanta l’Occidente non ha dubitato che Crimea e Ucraina fossero parti della Russia». Ma la Crimea è parte di uno Stato indipendente… «Di uno Stato indipendente che non è uno Stato nazionale. È molto discusso tra gli storici, se esista una nazione ucraina». Per l’Occidente, insisto, in Crimea è violazione del diritto internazionale… «Una violazione contro uno Stato che, provvisoriamente, attraverso la rivoluzione di Majdan, non esisteva e non era capace di funzionare». Come giudica il comportamento di Putin? «Al Consiglio di sicurezza dell’Onu, mi asterrei come hanno fatto i cinesi». Lo trova cioè legittimo? «Lo trovo comprensibile. L’espressione “legittimo” non vorrei usarla, perché la situazione non può essere giudicata soltanto col metro del diritto». Russia e Occidente tornino a un’epoca di normali rapporti diplomatici? «C’è da augurarselo. Si discute molto sulle cause della Prima Guerra Mondiale, che nessuno voleva, eppure scoppiò. La maggior parte delle guerre non sono pianificate. Lo furono solo alcune: l’attacco di Napoleone alla Russia, o la Seconda Guerra Mondiale, pianificata da Hitler. Una Terza Guerra Mondiale è molto inverosimile, ma non è totalmente impensabile» (Helmut Schmidt).

Al termine di questo nostro secondo viaggio, ci ritroviamo una nazione spaccata a metà e sull’orlo della guerra civile. Quale potrebbe essere la reazione del governo provvisorio sembra essere purtroppo facilmente intuibile già dalle parole dell’eroina della rivoluzione arancione Yulia Timoshenko. «Un grossolano passo falso, chiamiamolo così. L’ex premier ucraina Yulia Tymoshenko ha detto di essere «pronta a imbracciare un mitra e sparare in testa a quel bastardo di Putin» in una telefonata con un deputato del partito delle Regioni il 18 marzo, giorno in cui il presidente russo ha firmato l’accordo per l’adesione della Crimea. La telefonata è stata intercettata e pubblicata su YouTube e sui principali media di Mosca, sollevando polemiche anche se l’ex pasionaria della Rivoluzione arancione sostiene che le sue parole siano state in parte manipolate. La Tymoshenko avrebbe suggerito l’uso di armi nucleari contro gli ucraini di etnia russa, che chiama con il termine spregiativo di katsap, concentrati nell’Est e Sud del Paese. «La telefonata c’è stata», ha ammesso “la dama bionda” su Twitter, «ma la parte in cui mi scaglio contro i russi d’Ucraina è frutto di un abile ritocco volto a mettermi in cattiva luce. Ho solo detto che i russi dell’Ucraina sono ucraini» (Tymoshenko intercettata: “Sparerei a Putin”). «E secondo lei come sarebbe possibile fermarlo? «Come sarebbe possibile fermarlo? Provate a chiedere a un poliziotto tedesco che cosa farebbe se vedesse un automobilista al volante, completamente ubriaco fino ad aver perduto ogni controllo di se stesso, che con la sua auto punta a tutto gas contro un autobus pieno di gente. Credo che all’agente non basterebbe usare il fischietto d’ordinanza. Noi siamo costretti a rispondere uno a uno all’aggressore, e lo dobbiamo fare con la sua stessa determinazione. Noi non vediamo nessun’altra via. Noi dobbiamo difendere la nostra Patria, costi quello che costi» (Tymoshenko: “Putin parla come Hitler. L’Europa e il mondo devono rispondere”).
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