Ebbene sì, lo confesso! Anche io ho aderito nel corso di questi anni a vari appelli per l’unità dei comunisti. Ho fatto anche di peggio. Mi occupai della gestione delle adesioni in quello che apparve su alcuni quotidiani nazionali subito dopo il disastro elettorale de “La Sinistra, l’Arcobaleno” alle elezioni politiche del 2008.
Da allora si sono susseguiti decine di appelli simili che adottano sempre lo stesso schema.
Il testo. Dopo l’analisi della situazione internazionale ed il riferimento a qualche esperienza esterofila di “successo” da cui prendere esempio, si passa ad enunciare il contesto nazionale segnato da una crisi politico-sociale profonda, giungendo alla conclusione che sia fondamentale ricostruire in Italia un forte Partito comunista (a volte si aggiunge: all’interno di un fronte della sinistra anticapitalista).
I promotori. Nell’elenco dei primi firmatari non possono assolutamente mancare un paio di intellettuali ai quali viene “estorto” il loro assenso senza aver nemmeno letto il testo né conoscere le finalità dell’appello, qualche artista impegnato ed ovviamente due o tre operai per dare quel tocco di lotta di classe che non guasta mai. Di fatto, i veri promotori, sono un gruppo di compagni in rotta di collisione con uno dei nano-partiti comunisti italiani che preparano la transumanza verso un altro dei nano-partiti della diaspora comunista.
La tempistica. La necessità impellente della ricostruzione del Partito Comunista nasce quasi sempre in prossimità delle elezioni ed esattamente nell’arco temporale che va dalla presentazione delle liste, in cui si manifestano i primi malumori per la mancanza sulle schede elettorali della falce e martello, ai giorni immediatamente successivi all’ennesima disfatta elettorale, quelli durante i quali di solito viene reso pubblico l’appello.
La chiamata alle armi. Nell’appello non può ovviamente mancare la convocazione di un’assemblea nazionale che dia avvio al processo di ricostruzione. Per puro caso, l’ospite di punta sarà il segretario nazionale di uno dei nano-partiti comunisti che accuserà gli assenti di non volere l’unità delle comuniste e dei comunisti.
Oggi, dopo oltre quindici anni e decine di appelli all’unità, qual è lo stato di salute delle organizzazioni comuniste in Italia?
Al netto del lodevole impegno di qualche migliaio di militanti, siamo di fronte a delle formazioni irrilevanti sul piano politico e sociale. Partiti del tutto ininfluenti, spesso litigiosi tra loro ed al loro interno e che navigano a vista in attesa della successive elezioni per riproporre l’ennesimo cartello elettorale con il quale azzardare il ritorno in Parlamento oppure in qualche Consiglio regionale o comunale.
Se da un lato è possibile imputare agli attuali gruppi dirigenti un eccesso di accanimento terapeutico, dall’altro sarebbe disonesto omettere le responsabilità di chi li ha preceduti.
Tralasciando in questa sede le scelte politiche fatte, quello che mi interessa sottolineare è l’incomunicabilità tra compagni appartenenti ad aree diverse. Al confronto politico spesso, soprattutto a livello periferico, si sostituì il fideismo acritico. Si crearono dei veri e propri compartimenti stagni all’interno dei quali rimanevano intrappolati i singoli compagni senza possibilità alcuna di dialogo. Il tutto a beneficio di pochi ras locali che potevano così far valere il loro pacchetto tessere per meglio perseguire la propria via personale al socialismo. Non è un caso che, venuto meno il peso elettorale e, di conseguenza, riducendosi al lumicino la possibilità di ottenere privilegi e prebende, vi fu un fuggi fuggi generale soprattutto tra coloro che occupavano ruoli elettivi o di governo.
Anche io, come molti compagni in buonafede, sono stato vittima ed in parte carnefice (avendo avuto ruoli marginali di dirigenza) di questo circolo vizioso che ha contribuito in modo determinante all’inconsistenza attuale. Una volta preso coscienza della situazione, ho praticamente abbandonato qualsiasi tipo di militanza per un decennio pur continuando a seguire le dinamiche interne ai gruppi comunisti organizzati. L’unica volta che mi sono nuovamente impegnato in prima persona è stata per la campagna referendaria contro la riforma costituzionale Renzi-Boschi.
Questo approccio più distaccato ha contribuito a liberarmi da quell’imprinting derivante dagli anni della mia militanza attiva, a tratti totalizzante. Ho così scoperto che, fuori da quel modello esiziale di contrapposizione, molti di quei compagni, che aprioristicamente ritenevo a me opposti, esprimono le posizioni più avanzate e coincidenti con quelle dei comunisti e delle sinistre di popolo ed antimperialiste a livello internazionale.
È quindi possibile ricostruire un Partito comunista in Italia ripartendo da questa linea e da questi compagni? No. Non adesso, salvo immediati stravolgimenti storici che pur si intravedono all’orizzonte. E non grazie a noi che siamo spesso incapaci di leggere ed interpretare il senso comune ed indirizzarlo in una prospettiva di cambiamento di società.
Quale deve dunque essere la parola d’ordine dei comunisti italiani? Comunisti di tutta Italia, disunitevi!
Lo dico in modo provocatorio ma nemmeno troppo. La cosa più utile in questo momento sarebbe sciogliere tutti i nano-partiti comunisti ed impegnare la loro partecipazione attiva nelle organizzazioni di massa a livello locale e nazionale che ognuno, singolarmente o in gruppo, ritenga più funzionali.
Per fare cosa? Provo a dirlo con un esempio. La fase storica che stiamo vivendo si caratterizza per la transizione dal mondo unipolare, a guida statunitense, verso quello multipolare. In questo contesto si colloca la guerra in Ucraina sul quale, a parte qualche minuscola formazione trotskista, la posizione dei partiti comunisti italiani, sia pure con diverse accezioni, è chiara e può essere così riassunta: il conflitto in atto non nasce oggi ma almeno dal 2014, essa è anche il frutto “dell’abbaiare della NATO alle porte della Russia” che ha finanziato ed armato gruppi neo-nazisti che hanno svolto, e svolgono, un ruolo non di secondo piano nel governo ucraino, fomentando odio e repressione nei confronti delle popolazioni russofone del Donbass. L’unica soluzione possibile è quella diplomatica e non il sostegno economico e militare ad una delle parti.
Questo punto di vista, seppur con sfumature diverse, è oggi, nonostante il bombardamento mediatico a sostegno della guerra, quello maggioritario tra i cittadini italiani. Merito dei partiti comunisti? No! Merito anche dei comunisti? Sì!
Fin dall’inizio del conflitto, l’unica organizzazione di massa che ha espresso la sua immediata contrarietà all’escalation bellica ed ha dichiarato come unica via percorribile la soluzione diplomatica è stata l’ANPI. Non è un caso che essa sia stata oggetto di una vera e propria campagna diffamatoria da parte dei nostri media impegnati invece a fomentare lo scontro di civiltà ed a spingere per un intervento sempre maggiore del nostro Paese in guerra, a partire dall’invio di armi via via sempre più offensive fino a spingersi alla necessità di un intervento diretto delle NATO, ipotesi che prende sempre più piede tra gli opinionisti della nostra libera stampa.
La resistenza dell’ANPI ha fatto sì che, venuto meno l’iniziale approccio emotivo, anche altre organizzazioni significative sul piano del consenso abbiano fatta propria l’opinione di chi intravede il rischio di un conflitto mondiale, per evitare il quale è indispensabile ogni sforzo diplomatico.
Si sono così aggiunti ai partigiani italiani il mondo cattolico, la CGIL, la maggior parte dell’associazionismo laico, il Movimento Cinque Stelle ed altri che hanno dato vita alla manifestazione per la pace di Roma del 5 novembre 2022 ed a quelle dislocate in varie città italiane dal 24 al 26 febbraio scorso. Qualcuno obietterà, con un po’ di ragione, che la piattaforma di convocazione delle manifestazioni sia debole, tale da includere forze politiche quali il PD che è tra i principali sostenitori dell’impegno militare in Ucraina, ma è sufficiente vedere la reazione della stampa bellicista per capire l’importanza che queste proteste abbiano avuto nel creare senso comune di massa. Senza trascurare il dato politico della contrarietà all’invio di nuove armi da parte del principale sindacato e di uno dei maggiori partiti italiani.
Se l’ANPI è stata in grado di svolgere questa funzione è grazie anche al fatto che alla sua guida vi sia un comunista.
A questo punto, per citare il buon Antonio Lubrano, la domanda sorge spontanea: nell’attuale fase storica ed in questa latitudine del mondo è più utile per un comunista impegnarsi in un nano-partito ininfluente oppure confrontarsi in contesti più ampi possibili cercando, con il confronto delle idee, di giungere al punto di vista più avanzato sul piano generale?
Ritornando alla questione della guerra: con il pericolo della terza guerra mondiale alle porte, per la causa della pace e della prospettiva multipolare delle relazioni internazionali è più efficace convincere decine o migliaia di persone sulle colpe delle formazioni neo-naziste ucraine oppure persuadere migliaia o milioni di cittadini ad opporsi all’escalation militare ed al supporto bellico e finanziario del nostro governo a quello di Kiev?
Personalmente, in entrambi i casi, preferisco la seconda ipotesi. Ciò perché i micro-partiti creano due tipi di minoritarismo: quello autoreferenziale di chi si chiude in sé stesso e quello di chi, nel tentativo di rincorrere ogni tipo di protesta, rischia di sommare tra loro tanti inutili minoritarismi con esiti disastrosi.
Anche in questo caso, provo a spiegare meglio il mio pensiero prendendo spunto da un altro avvenimento che ha caratterizzato gli ultimi tre anni. La pandemia e la sua gestione, avrebbero potuto rappresentare un’occasione unica per rilanciare una campagna a sostegno degli investimenti nella sanità pubblica. Durante la sua prima fase, si sono palesati in modo evidente sia le difficoltà del sistema sanitario nazionale sia il menefreghismo delle strutture private. Mentre centinaia di medici ed operatori sanitari erano costretti a turni massacranti nei nostri ospedali, mettendo a repentaglio la loro vita, la preoccupazione principale delle sanità privata era quella di nascondere i casi nelle loro cliniche ed RSA salvo poi riapparire magicamente, nella seconda fase della pandemia, quando si è trattato di guadagnare soldi con i vari test molecolari, antigenici e sierologici.
I comunisti sono riusciti a sfruttare questo inaspettato terreno fertile? Assolutamente no!
Innanzitutto per ragioni oggettive, legate all’impietosa debolezza numerica. Nessuna delle organizzazioni comuniste italiane, per quanti sforzi possa fare, è infatti oggi in grado di lanciare una campagna nazionale. Nel caso specifico, ci hanno provato i compagni del PCI ma senza successo.
Ma anche per madornali sbagli derivanti da mero calcolo elettoralistico. Non si spiega altrimenti l’abbraccio mortale del PC di Rizzo con quei settori del mondo no-vax che hanno ridotto la questione complessa, ed in parte legittima, relativa agli errori della gestione pandemica in una crociata contro gli “inoculati”, eliminando completamente dal dibattito il problema della mancanza di investimenti pubblici nella sanità.
Accantonata, in attesa di tempi migliori, la ricostruzione del Partito Comunista, rimane il tema di come mettere in connessione tra loro i singoli comunisti. Io immagino un contenitore (se necessario anche più d’uno purché intercomunicanti) fisico e digitale, sia esso un’associazione oppure una rivista, in cui, rimosse le diatribe elettoralistiche, si possa mettere al centro l’elaborazione teorica rispetto ad alcuni temi fondamentali del nostro tempo. Provo a proporne alcuni: la sovranità nazionale ed il legame con la difesa ed il rilancio dello stato sociale; la prospettiva della democrazia progressiva nel nuovo mondo multipolare; le migrazioni: cause, conseguenze ed incidenza negli strati popolari di approdo, possibili soluzioni; la questione meridionale ed il rilancio del Sud in un’ottica di rinnovata centralità del Mediterraneo negli interscambi commerciali internazionali; l’economia verde e l’ambientalismo di facciata; i nuovi diritti e le questioni etiche che pongono.
In questo modo forse riusciremo a lasciare alle future generazioni italiane un riferimento concettuale per provare a riorganizzare anche da noi il Partito Comunista più adatto al loro tempo e che possa tenere aperta la prospettiva della trasformazione sociale.
Comunisti di tutta Italia, disunitevi!
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